
Che mattana di partita ci ha riservato questo lunedì sera bilioso! Si trattava di affrontare il Genoa, una squadra che, a dirla tutta, vive di pedale e di un certo sentimento popolare, ma che in quanto a tessitura calcistica è spesso una creatura cagionevole. Ma l’Udinese, caro il mio lettore, è riuscita nell’impresa di rendersi la vita pestilenziale da sola! Eccoci dunque al fischio d’inizio, con la piccola patria friulana in attesa di un segnale di gagliardia. In tribuna, il tecnico scontato (Runjaic), a purgare l’espulsione, mentre in campo si tenta l’azzardo di Zemura, presto smontato da un acciacco fanciullo un. Entra Modesto, ahimè, e già qui si comincia a capire che l’aria è fetida.l primi quarantacinque minuti sono stati una vera e propria tortura borbonica. L’Udinese in campo? Una squadra sgorbia, impacciata come un ragionierino di campagna costretto a ballare il tango. I bianconeri non sanno cosa fare del cuoio, lo trattano con la sospensione e la flemma di chi teme di scottarsi le mani. Il Genoa, ha una maggiore scaltrezza sui palloni vaganti, ma è un’anima in pena che non ha mai alitato un tiro vero in porta, ringrazia e banchetta sui nostri pasticci. E qui la sciagura si compie: Modesto non ne azzecca una, poi un’uscita del portiere Okoie – un’azione sciagurata che definirei un suicidio assistito – ed ecco che l’arbitro, un certo Maresca (ma torneremo su questo fischietto bislacco), indica il dischetto. Rigore! E il Genoa, con la gioia del misero che trova la moneta, va in vantaggio. L’Udinese è un colabrodo sentimentale, un’armata brancaleone che affonda nell’errore più candido. Non so cosa abbiano messo nel tè dell’intervallo, ma i bianconeri rientrano in campo con un piglio diverso. Forse hanno sentito l’urlo di guerra (o di disperazione) di qualche vecchio cuore friulano. Si comincia a giocare con una certa ferocia, si pressa, si corre. Il Genoa, che è una squadra che vive di rendita e catenaccio, non vede più la palla. E finalmente arriva il sussulto d’orgoglio: Modesto, giusto per mettere una toppa all’onta del rigore, pennella un pallone e il volonteroso Piotrowski trasforma nel golletto del pari. Uno a uno! La partita si fa pestilenziale nel senso migliore del termine, un vero dramma plebeo. Ma poi, ahimè, arriva la matrice della sconfitta. Proprio quando l’Udinese sembrava in grado di sverginare il risultato, quando il Genoa era una squadra inesistente, lo sottolineo! – i bianconeri riescono a prendere il secondo gol sull’unica miserabile azione avversaria. È la dimostrazione che il peccato capitale dell’Udinese non è la mancanza di talento, ma la sospensione della ragione. E poi c’è lui, Maresca. Un arbitro che ha fischiato con la foga di un bimbo che ha ricevuto il fischietto nuovo a Carnevale! Decisioni bislacche, interruzioni inutili; insomma, un direttore di gara che non ha fatto altro che rendere il trantran ancora più indigesto. L’Udinese fallisce l’ennesima prova di maturità. Nonostante una ripresa in cui si è intravista la gagliardia e una certa fantasia bislacca, si commettono troppi errori in tutti i settori, regalando punti insperati a una squadra che, altrimenti, sarebbe tornata in Liguria con le pive nel sacco. Sono i soliti, eterni incompiuti. Bravi a sudare, ma miserabili nel cogliere l’attimo decisivo. Questa non è sfortuna, giovine Signore, è una cronica carenza di malizia e di fegato. E così, si resta nel pantano della mediocrità.


