
Amici, fratelli, connazionali dal sangue azzurro che ribolle in petto (ma solo per nostalgia), pare che ci risiamo. L’ipotesi che l’Italia non si qualifichi neppure stavolta ai Mondiali è ormai più di un’ombra all’orizzonte: è un’eclissi totale di sole calcistico, con tanto di commento tecnico di Malgioglio in sottofondo. Ma niente panico! Anzi, celebriamo questa costante nazionale come si fa con il Festival di Sanremo: con entusiasmo passivo-aggressivo e una valanga di meme.
La cosa straordinaria è che siamo riusciti a rendere straordinario ciò che dovrebbe essere la base: qualificarsi. Roba da squadre tipo Liechtenstein o San Marino. Noi no. Noi puntiamo alla leggenda. Siamo i maestri del “c’eravamo ma non ci siamo più”. Un tempo erano i rigori, poi il catenaccio, adesso il forfait.
La Nazionale si allena con dedizione alla nuova strategia: la sparizione dal palcoscenico mondiale. Una tattica raffinata, sofisticata, che consiste nel giocare senza attaccanti, difendere senza difensori, e affrontare ogni partita con rassegnazione e una vaga voglia di piangere.
Addio sogni di gloria, benvenuta stabilità
Non qualificarsi è ormai diventato un valore culturale. Gli italiani, gente pratica, hanno semplicemente deciso di evitare la fatica del tifo, lo stress da rigori e l’angoscia dei supplementari. Perché sprecare emozioni quando si può guardare Brasile-Francia dal divano, sgranocchiando taralli e insultando i telecronisti?
E vogliamo parlare del risparmio? Miliardi di euro non spesi in bandiere, maxi-schermi, birra, lacrime e terzini destri. Finalmente un piano economico nazionale che funziona! Ii nuovo PNRR, Piano Nazionale Rinuncia Ripetuta.
Con un mercato sempre più globalizzato, qualcuno propone una soluzione drastica: mettere la Nazionale in saldo su Vinted. “Usata poco, solo qualche partita. Qualche graffio nell’orgoglio, ma ancora funzionante se trattata con dignità”. Potremmo venderla in blocco all’Arabia Saudita, che ormai compra tutto, oppure affittarla alla Svezia, che almeno ai playoff ci arriva con un certo stile Ikea.
Dopo la vittoria dell’Europeo (sì, ricordiamola ogni volta, come i nonni ricordano il 3-2 al Brasile nell‘82), il CT era il nuovo messia. Poi ha preso il volo verso altri petrodollari, lasciando un Paese in piena crisi d’identità calcistica.
E comunque, diciamocelo, ogni allenatore della Nazionale è un precario in attesa di giudizio: se vince è un genio, se perde è colpa sua, dei suoi nonni e pure del commercialista. Un classico tutto italiano.
Il tifoso italiano ha attraversato tutte le fasi del lutto calcistico. Negazione (“non è possibile”), rabbia (“ma come si fa a non battere la Macedonia?!”), contrattazione (“basta, non li guardo più”), depressione (“guardo il curling, almeno lì si scivola volontariamente”) e infine accettazione: “Eh, vabbè dai. Almeno ci godiamo l’estate in pace.”
Si prospetta quindi un nuovo scenario, inedito quanto poetico: guardare i Mondiali tifando per l’Argentina (perché Messi), il Giappone (perché ci piacciono gli anime) o la Croazia (perché “corrono come dannati”). L’Italia? Un bel ricordo, come la lira o i cinepanettoni con Boldi e De Sica.
La morale?
In un mondo in cui tutto cambia, le guerre si evolvono, i social impazzano e persino gli UFO visitano la Terra, l’Italia che non si qualifica è una delle poche certezze rimaste. È confortante sapere che almeno su qualcosa possiamo contare: la nostra capacità di fallire con stile.
E allora brindiamo a questa nuova potenziale impresa: fuori dai Mondiali, dentro alla leggenda.
Chi ha bisogno della Coppa del Mondo quando abbiamo la nostalgia, i documentari su Sky e le raccolte di figurine con i “campioni mancati”?
D’altronde, noi siamo italiani: quando vinciamo, siamo poeti.
Quando perdiamo, siamo filosofi.
E la nostra cucina resta migliore di quella francese.
Fabrizio Colombo