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La proteina killer, spiegata bene

redazione 31 Marzo 2015
La proteina killer, spiegata bene

La proteina killer, spiegata beneLa speranza, un giorno, è di poter combattere l’azione patogenica del beta-amiloide, la proteina il cui accumulo è associato alla malattia di Alzheimer. Per ora gli scienziati (fra cui un gruppo della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, SISSA, di Trieste) fanno il punto sulla conoscenza acquisita su questa proteina negli ultimi decenni, in un lavoro di rassegna che è destinato a diventare una pietra miliare per la ricerca futura.

“Ci vorranno ancora molti anni per comprendere il meccanismo che determina la formazione delle placche tipiche del cervello colpito dall’Alzheimer”, spiega Alessandro Laio, professore della SISSA. “Sappiamo che sono principalmente degli accumuli di peptide beta-amiloide, la proteina su cui si sta concentrando la ricerca oggi”. E da oggi chi si occupa di ricerca biomolecolare sull’Alzheimer avrà in mano un nuovo e importante strumento: è stata infatti appena pubblicata sulla rivista Chemical Reviews una rassegna estensiva e completa di tutta la conoscenza scientifica su questa “proteina killer”. Il lavoro coordinato da Philippe Derremaux, del CNRS francese, ha coinvolto i più importanti centri di ricerca al mondo che si occupano di questo argomento, mettendo insieme sperimentali e teorici. Fra questi gruppi c’è anche quello di Laio alla SISSA, fra cui Baftizadeh Fahimeh e Daniele Granata.

“Il lavoro che è stato fatto per questa rassegna è molto speciale” commenta Laio. “Normalmente gli studi di questo tipo sono seguiti da un numero limitato di scienziati, necessariamente esperti in un settore specifico. In questo caso invece sono stati chiamati in causa tutti coloro che lavorano su questo argomento e che di questa ricerca rappresentano l’essenza”. Quando la scienza diventa così avanzata come in questo caso, è infatti difficile che una singola persona (o poche) possa comprendere e raccontare tutti i suoi aspetti. “La ricerca sul beta-amiloide, oltre ad essere estremamente specialistica, è anche multidisciplinare. Per comprendere ciò che è stato fatto dunque è necessario mettere insieme competenze molto diverse e talvolta distanti fra loro”, continua Laio.

“Questo lavoro è destinato a diventare un riferimento per tutti nel settore, rappresentando oggi il più completo stato dell’arte in questo campo. La sua utilità è anche pratica: per molti vorrà dire accorciare notevolmente i tempi dedicati all’approfondimento della materia  prima di progettare degli esperimenti”.

Lo studio ha unito gli aspetti sperimentali a quelli teorici (questi in special modo argomento di studio alla SISSA). “Tutti hanno la speranza di poter un giorno comprendere e combattere questa patologia che con il crescere dell’aspettativa di vita mondiale sta diventando sempre più diffusa. Gli sforzi da compiere però sono ancora enormi. Speriamo con il nostro lavoro di aver dato un contributo significativo”.

Più in dettaglio…

Il peptide beta-amiloide (o A-beta) è una proteina normalmente presente nel nostro organismo e che nella stragrande maggioranza dei casi ha una funzione fisiologica e benigna.

È però anche il maggior costituente delle placche senili, accumuli extracellulari che si moltiplicano nel cervello delle persone affette dalla Malattia di Alzheimer, una forma di demenza senile associata all’invecchiamento, che porta a una grave compromissione progressiva delle funzioni cognitive, fino alla morte.

Nelle placche senili la parte centrale è formata da proteina amiloide, mentre quella esterna da detriti neuronali (“rottami” di neuroni non più funzionanti). Queste formazioni si trovano un po’ dappertutto nel cervello, ma in particolar modo nell’ippocampo (zona notoriamente associata ai processi di memoria, da qui il grave deterioramento di questa funzione nei pazienti) e in altre aree (lobi frontali e parietali).

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