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Gesti che parlano

redazione 24 Giugno 2014
Gesti che parlano

Gesti che parlanoQuando gesticolate non aggiungete semplicemente una “nota di colore” che rende più piacevole il discorso: veicolate informazione sulla struttura delle frasi e rendete il significato più chiaro. Uno studio della SISSA di Trieste dimostra che gesti e “prosodia” (intonazione e ritmo del parlato) fanno parte di un solo “sistema di comunicazione” a livello cognitivo, e che si parla con “tutto il corpo”, non solo con il tratto vocale.

Vi siete mai ritrovati a gesticolare – sentendovi anche un po’ stupidi – mentre parlate al telefono? Non siete soli: succede molto spesso che le persone accompagnino il discorso con le mani, a volte anche quando nessuno le può vedere. Perché non riusciamo a stare fermi quando parliamo? “Perché gesti e parole, molto probabilmente, formano un unico ‘sistema di comunicazione’, il cui fine ultimo è massimizzare l’espressione, cioè la capacità di farsi comprendere”, spiega Marina Nespor, neuroscienziata della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati (SISSA) di Trieste. Nespor ha appena pubblicato sulla rivista Frontiers in Psychology, insieme ad Alan Langus, ricercatore della SISSA, e Bahia Guellai, ora all’Université Paris Ouest Nanterre La Défence (ma che al tempo della ricerca lavorava alla SISSA), uno studio che ha dimostrato il ruolo dei gesti nella “prosodia” del discorso.

I linguisti per prosodia intendono l’intonazione e il ritmo del parlato, caratteristiche che aiutano a mettere in evidenza la struttura delle frasi e rendono quindi più comprensibile il messaggio. Per fare un esempio, senza prosodia, niente distinguerebbe “questa è una mela” da “questa è una mela?” (in questo caso la differenza sta nell’intonazione).

Secondo Nespor e colleghi anche i gesti delle mani sono parte della prosodia: “la prosodia che accompagna il discorso non è ‘modalità specifica’”, spiega Langus. “L’informazione prosodica, per chi riceve il messaggio, è un mix di sonoro e visivo. Gli aspetti ‘superiori’ (a livello di elaborazione cognitiva) del parlato sono mappati nei programmi motori responsabili sia della produzione del suono linguistico, sia dei gesti che lo accompagnano”.

Nespor, Langus e Guellai hanno fatto ascoltare frasi “ambigue”, che potevano cioè essere lette con prosodie diverse corrispondenti a due significati distinti, a 20 soggetti di madrelingua italiana. Le frasi erano del tipo “come sicuramente hai visto la vecchia sbarra la porta”, dove “vecchia”, a seconda di come viene letta la frase, può essere un aggettivo o il soggetto della subordinata. Le frasi potevano essere semplicemente ascoltate (modalità “solo audio”) o essere presentate in un video, dove i soggetti potevano sia ascoltare le frasi che vedere i gesti. Negli stimoli “video” la condizione poteva esser “congruente” (gesti corrispondenti allo stesso significato veicolato dalla prosodia del parlato) o “incongruente” (gesti corrispondenti al significato alternativo a quello veicolato dalla prosodia del parlato).

“Nelle condizioni congruenti non c’era un miglioramento imputabile ai gesti: la prestazione era molto buona sia nelle sessioni video che in quelle ‘solo audio’. È nella condizione incongruente che si è palesato l’effetto dei gesti”, spiega Langus. “Con questi stimoli infatti i soggetti sbagliavano molto più spesso (sceglievano cioè il significato indicato nei gesti e non quello del parlato) rispetto alle condizioni congruenti o solo audio. Questo significa che c’è un effetto dei gesti sull’interpretazione del significato. È nostra opinione che questo indichi l’esistenza di un sistema cognitivo comune per gesti, intonazione e ritmo del parlato”.

“Nella comunicazione dell’essere umano non basta la voce: anche il busto e in particolare i movimenti delle mani sono coinvolti, oltre alle espressioni facciali”, conclude Nespor.

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