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PUNTATA NUMERO TRENTANOVE. APPELLO SULL’ONDA LONGA DEL FAI. PARTE SECONDA.

Rachele Pellegrinuzzi 31 Marzo 2015
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Siamo in primavera, trionfo del risveglio della Natura nelle sue forme migliori! Il bello, il variopinto, il profumato sembrano riuscire a vincere su tante brutture umane e dispongono l’animo a nutrirsi di altra bellezza, in un circolo virtuoso. Se, come scrivono luminari dell’Arte, il Bello ci salverà, allora ci conviene davvero preservarlo dalla distruzione della mano pesante del Tempo. Laddove la rovina è stata quasi totale, è tuttavia possibile ricostruire qualcosa di somigliante a ciò che fu, ritenendo ad ogni buon conto che non è tanto importante avere l’opera originaria quanto la forma bella che essa offriva al mondo. Ecco allora che anche un castello, ricostruito dopo che bombe di canòn lo avevano ridotto in briciole, torna nel mondo dei vivi a raccontare, come una sorta di Dante in laterizi, il suo viaggio di istruzione nell’aldilà.

Grazie al FAI edizione 2014, molti di noi han posato per la prima volta piede e occhio su un maniero che definire “inaspettato” è dir poco. Perchè mai, dite? Per il semplice fatto che aspettative stereotipate basate su indizi scontati sono, fortunatamente, destinate a venir fiammate dalla sorpresa! Niente colle, niente posizione sopraelevata, niente ponte con fossato intorno, niente spazio ampio: dunque, niente condizioni tradizionali per la localizzazione di un castello…che, invece, c’è, eccome! Si trova a poca distanza dal centro di Pieris, piccolo paese della provincia di Gorizia.

La strada è di quelle che vengono percorse solo se c’è una chiara intenzione di passar per lì, altrimenti ben altre sono le arterie di scorrimento del traffico dei più. Ricordo ancora come cercassimo di seguire le frecce segnaletiche del FAI e come pensassimo di aver sbagliato direzione, fidandoci poco della cartellonistica italiana! A Savogna d’Isonzo (GO)

eravamo arrivati, lì terminavano le indicazioni. Mollar l’auto nel parcheggio dove già c’erano altre vetture, pensando che era quello l’unico punto piuttosto animato dei dintorni. Seguire un gruppetto sparuto, scettici assai di trovar qualcosa di significativo, dato che a vista non c’era alcunché. Dulà vustu cjatâ cjascjei, ca?!

Neanche finita la frase, ultimavamo la salitina della collinetta carsica e, davanti a noi, il mastodonte! Mr. Castello di Rubbia, grant e grues, a cjalanus cuntun voli che la saveva lungja e una musa dura e grisa parceche lu vevin cjolt via!!! Che scusi, sae, jo no savevi…

Ma guarda…!!! Chi se lo aspettava un energumeno di tal fatta dietro l’angolo, sul breve pendio di una collina del Carso?!? Minuto di rispettoso silenzio e ad oremus. Impressionante, non c’era altro da aggiungere! Riavutici dall’impatto, gongolavamo dal piacere della scoperta, documentandola con foto per poterla, poi, riammirare fieri, una volta ritornati a casa.

Il Castello di Rubbia va visto! Se c’è l’occasione mondana, la serata con degustazione (qui da noi, per fortuna, c’è ancora un ricco catalogo di sapori da poter “degustare”!) o l’evento culturale lì realizzato, tanto meglio: si entra e si ammira il gigante buono anche dalla sua pancia. Tanto lavoro c’è ancora da fare, i progetti pensati per lui son grandiosi e un domani diventerà un resort, quindi ora l’accessibilità è limitata.

Ci si accontenta, allora e si rimane all’esterno: anche la sola vista dei suoi lineamenti è già ben appagante.

Imponente, considerandolo in proporzione allo spazio su cui sorge, ben recuperato e ristrutturato, con quelle torri forti e muscolose e un telaio degno di un autoarticolato, il maniero se ne sta, fiero e inamovibile, lì dove secoli di battaglie, assalti, attacchi lo avevano piegato e ingobbito fino allo stremo.

Ora è nuovamente pieno di energia e vigore e ha tutta la forza e la sapienza necessarie per poterci raccontare un po’ di vicende e avventure vissute nella dura calata agli inferi. Sì, perché il Castello è passato attraverso la Grande Guerra che gli ha dato il colpo di grazia dopo tante vecchie ingiurie patite; i suoi sassi e le sue pietre avevano visto già tante sofferenze e dolori, condivise con gli abitanti del paese.

Chi lo desidera, può fermarsi lì ad ascoltare i suoi racconti e, mentre parla, osservarlo attentamente. Dietro quella pelle d’intonaco ora così liscia si celano fatiche e incertezze. Ogni mattone, ogni elemento dei suoi pavimenti e soffitti è stato, laddove possibile, riaccostato rispettando al massimo il disegno e la tecnica originari. Non è stato facile trovare bravi muratori ancora capaci di costruire volte autoportanti come le sue!

Lui, il Castello di Rubbia, queste cose le sa bene: dietro alla sua apparente essenzialità delle linee, si cela un denso processo di ricerca e di documentazione perché le forme del passato tornino a dar impronta anche al presente.

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