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CHIAMAMI COL TUO NOME

Elisa Pellegrino 2 Febbraio 2018
Cattura

 

Nominato a quattro premi Oscar, fra cui miglior film, “Chiamami col tuo nome” di Luca Guadagnino entra in punta di piedi nel panorama cinematografico mondiale conquistandosi un posto fra i grandi.

Da qualche parte nel nord Italia, 1983. Elio è un ragazzo di diciassette anni che trascorre le vacanze estive in campagna insieme ai suoi genitori. Ogni anno la sua famiglia ospita uno studente straniero, e quest’anno è il turno dell’americano Oliver. Da subito fra i due c’è una bella sintonia, c’è qualcosa di difficile da definire e allo stesso tempo di profondamente palpabile fra loro. La narrazione è lenta, molto attenta ai dettagli, ai gesti accennati e ai sentimenti nascosti. I riferimenti all’arte e alla musica sono continui e l’ambientazione sembra quella di un mondo sospeso.

Fotografia e regia sono in perfetta sintonia, si completano a vicenda. L’abbondanza dei colori pastello e le luci dell’estate creano un’atmosfera delicata, cornice ideale per una storia che a volte non ha bisogno di parole. Anche la colonna sonora è magica, “Mystery of Love” di Sufjan Stevens spezza il cuore in un modo bellissimo, rendendo “Chiamami col tuo nome” un’opera d’arte completa.

È un film a tratti sfacciato, provocatorio. Non cerca compromessi e ti lascia lì di fronte alla verità, di fronte a uno spaccato di vita e a emozioni del tutto condivisibili. C’è l’amore, la diversità, la voglia di essere accettati. E c’è il dolore, un dolore che non deve e non può essere represso. Nel film infatti c’è un momento, un dialogo fondamentale, in cui il padre dice al figlio che “soffochiamo così tanto di noi per guarire più in fretta che a trent’anni siam prosciugati e ogni volta che ricominciamo con qualcuno diamo sempre meno”. Eccolo il senso di tutta la storia, delle sue sfumature e dei suoi dettagli nascosti. L’emozione arriva come un fiume in piena verso la fine, finchè coi titoli di coda qualcosa si spezza, mentre una perfetta e indimenticabile inquadratura ti dice che è tutto finito.

Ma se la sensibilità che invade questo film non è la tua, se non tocca le tue corde, rischia di essere solo molto noioso. E forse è questa la sua forza, o lo ami o lo odi. E io l’ho amato.

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