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PUNTATA NUMERO QUARANTAQUATTRO. AUSSA, L’IMMENSO INATTESO. PARTE SECONDA.

Rachele Pellegrinuzzi 4 Maggio 2015
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Ogni promessa è debito e, da bòn Furlàn che no vul vê dèbits, nel giro di qualche chilometro (a piduline nostre, ricordiamolo!) di argini, terrapieni, rivâi di cjamps e boschètis, Lui – l’Aussa – c’è! Semplicemente…scorre. Abbondante fluttua. Serafico ondeggia, scaldato da un sole benevolente di fine aprile.

E’ là, in tutta la sua larga culla in cui scivola in un silenzio quasi irreale, se non fosse per i futili e patetici cigolii elettronici dell’ultimo messaggino che suona nelle nostre tasche.

Ci sentiamo – e non può non scapparci, ripensandoci in seguito, un sorriso di autocommiserazione! – come l’amico di Siddharta, quell’anziano barcarolo che osservava il Fiume e vi coglieva la Verità. Percepiamo anche noi, infatti, una gran voglia di raffreddar le suole fumanti da scarpinatori della domenica per fermâsi in scolta, par provâ a sintî ce c’al fevela il flum.

Letta da fuori, è la classica scenetta stereotipata di quelli che, in controluce, volgono la schiena al mondo e guardano verso l’orizzonte infinito, che appare come un mare di nebbia, di acqua salata o, come in questo caso, cuntun tic di plui di dolç. Sic est, non fa paura il rischio di esser tacciati di conformismo, in questo caso, e sapete perché? Perché l’Aussa è davvero attraente e, par da bon, invita a guardarlo con il cuore in mano e a lasciarsi un po’ ipnotizzare da quella grande massa fluida che, come da filosofica memoria, è un Tutto – che – scorre. Se poi, vi vengono a galla anche due o tre litri di malinconie salmastre, portate pazienza e accettate anche quelle. Suvvia, non lagnatevi: lo sapevate già da prima che c’erano e stagnavano sul fondo! Questa è l’occasione buona per farle almeno evaporare un po’! La vista del paesaggio dell’Aussa sa dare conforto e consolazione nella misura in cui può farlo un ambiente naturale in cui è forte la presenza di un elemento; qui questa forza si sente, paradossalmente, dalla calma e dall’apparente lentezza pacifica che quelle acque hanno e che – ne siamo consapevoli – sono un leone che riposa vigile, con una immensa energia potenziale.

Riemergiamo dal bagno simbolico dei nostri “se” e “ma” e, scossi dal motore a scoppio di una veloce barchetta, ridiamo, ora, ritmo alla nostra marcia. Il sangue riprende a saltellare più allegro e vivace in ogni paròn e proseguiamo spediti fianco a fianco al grande fiume.

Il tracciato rettilineo suscita in noi un’impressione di “ordine e disciplina” e ci permette di dominare facilmente con lo sguardo l’orizzonte; questa idea di prevedibilità sfuma presto, nettamente smorzata da un’inattesa biforcazione dell’Aussa che, senza tradire del tutto il suo ramo principale, si permette una larga ansa selvatica. I nostri padri, nonni e bisnonni ricorderanno come si presentavano i fiumi e i torrenti nel loro stato di natura, prima di ogni dritta bonifica umana: erano contorti, curvosi e misteriosi, a volte sormontati da tunnel alberati di salici, pioppi e latifoglie vari. “Romantici”, diremmo oggi; “poco funzionali e facili alle esondazioni”, direbbero gli ingegneri dei consorzi di bonifica. L’Aussa regala un flashback nel passato, facendoci vedere ora questo stato brado. Lo fa in queste ampie anse che a Sarvignàn chiamano “i Muarts”, bracci morti di un fiume che va dritto altrove e non si guarda più alle spalle. Ma che non dimentica e non nega il suo passato, lasciandone traccia evidente e spettacolare e un nome decisamente emblematico. Eppur anche lì la vita brulica, anzi, lo fa forse in misura maggiore che nelle parti moderne e rettificate del letto. Chissà cosa direbbe, a questo punto, l’amico barcarolo di Siddharta?! Sediamoci con lui sull’argine e ognuno …ci pensi parsora!

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