
europa lager
La Global Sumud Flotilla sta per solcare i mari, e lo farà non come gesto di mera protesta o come atto simbolico isolato, ma come testimonianza viva di una tensione che attraversa il nostro tempo: quella tra l’Europa che non è mai nata come Stato e l’Europa che, come insieme di ideali, non è mai morta.
In questa tensione si nasconde tutto il senso del gesto. Non è un atto rivolto solo a un singolo conflitto, né una bandiera issata in nome di un popolo dimenticato: è un promemoria universale.
Perché se l’Europa politica – quella che nei trattati si mostra forte ma nella realtà si piega a interessi nazionali, economici e militari – continua a oscillare tra compromessi e debolezze, l’Europa morale, quella delle libertà, della dignità umana, dei diritti universali, non ha mai smesso di respirare. E la Flotilla è, in fondo, un polmone collettivo che restituisce ossigeno a quell’Europa di valori che rischiamo di soffocare.
Si è spesso parlato di Europa unita, di Stati Uniti d’Europa, di una federazione capace di superare le fratture dei secoli. Ma l’Europa politica non è mai nata davvero.
Le sue istituzioni restano fragili, prigioniere di veti incrociati, incapaci di un vero protagonismo internazionale. Si muove come un gigante con piedi d’argilla, oscillando tra retorica di unità e pratiche di divisione.
Eppure, proprio in questo fallimento strutturale, si cela un paradosso: l’Europa degli ideali non è mai morta. La libertà, l’uguaglianza, la fraternità – parole ereditate dalle rivoluzioni e dai movimenti che hanno fatto la storia – non sono state spazzate via, nonostante guerre mondiali, dittature, fascismi, stermini e muri.
Se oggi una flottiglia di attivisti decide di prendere il mare, non lo fa perché crede in un’Europa militare, economica o burocratica. Lo fa perché crede che l’Europa dei valori non si sia mai dissolta, e che la memoria della dignità umana sia ancora più forte della sua cancellazione politica.
Il mare, nella storia, è sempre stato un luogo ambiguo: frontiera e ponte, minaccia e salvezza.
La Global Sumud Flotilla sceglie il mare come campo d’azione perché è lì che si misura il grado di civiltà di un continente: nei porti chiusi, nei naufragi dimenticati, nelle navi bloccate dalle diplomazie.
Andare per mare non è solo un gesto di spostamento: è un atto politico. È come dire che non ci sono confini abbastanza alti da fermare un’idea, e che i mari, per quanto sorvegliati, non appartengono mai davvero ai governi ma all’umanità intera.
E allora la Flotilla diventa un simbolo duplice: denuncia la deriva di un mondo che torna a chiudersi in sé stesso, e al tempo stesso incarna la resilienza di chi non accetta che la storia si ripeta sempre e soltanto come tragedia.
Perché, diciamolo con chiarezza: il mondo oggi sta compiendo una grottesca retromarcia.
Si parla tanto di progresso, di intelligenza artificiale, di conquista dello spazio, ma i passi più lunghi che stiamo facendo sono quelli all’indietro.
Riecco i nazionalismi, che sventolano bandiere cariche di rancore e di esclusione. Riecco le guerre, con il loro corredo di civili massacrati e di terre ridotte a macerie. Riecco i genocidi, mascherati da operazioni militari o giustificati con fredde formule diplomatiche.
E riecco le ingiustizie sociali, che scavano fossati sempre più profondi tra chi ha e chi non ha, tra chi vive e chi sopravvive.
È come se il mondo fosse prigioniero di una nostalgia malata: un desiderio di tornare agli angoli bui della storia, quelli che avremmo dovuto abbandonare per sempre.
Abbiamo paura della complessità, così ci rifugiamo nelle semplificazioni di un passato violento.
Abbiamo paura del diverso, così inventiamo nuovi muri, nuovi fili spinati, nuove etichette per dividere e per segregare.
La retromarcia non è un incidente: è una scelta collettiva, anche se compiuta in silenzio. È la scelta di chi preferisce il rassicurante autoritarismo al rischio della democrazia, di chi si affida alla forza invece che al dialogo, di chi chiude gli occhi davanti al dolore perché non sa più come guardarlo.
In questo scenario di regressione, la Global Sumud Flotilla appare quasi come un’anomalia.
È fatta di persone comuni, non di governi; di ideali, non di armi.
Il suo gesto non ha la potenza delle flotte militari, ma ha qualcosa che le corazzate non avranno mai: il coraggio morale.
E proprio questo coraggio dimostra che l’Europa degli ideali non è morta. Anzi, forse non è mai stata così necessaria come adesso.
Ogni nave, ogni bandiera, ogni volto a bordo della Flotilla porta con sé il ricordo di un continente che seppe sognare libertà e giustizia quando intorno dominavano i totalitarismi. Porta con sé l’eredità delle resistenze, delle rivoluzioni, dei movimenti popolari che seppero alzarsi contro il buio.
La Flotilla non è un atto di nostalgia: è un atto di continuità. Non guarda al passato come a un tempo migliore, ma lo richiama come testimonianza che anche nei momenti peggiori l’Europa dei valori ha saputo resistere.
Il significato ultimo del gesto sta qui: ricordarci che arrendersi non è un’opzione.
Arrendersi significherebbe accettare che i nazionalismi siano inevitabili, che le guerre siano necessarie, che i genocidi siano tollerabili, che le ingiustizie siano strutturali.
Ma la Global Sumud Flotilla ci ricorda che nulla di tutto ciò è inevitabile. Che ogni scelta politica, economica o militare può essere contestata. Che ogni passo indietro può trovare resistenza.
Ecco perché questo gesto ha un significato che supera il Mediterraneo, il Medio Oriente o l’Europa stessa: è un grido globale. È come dire al mondo che, sebbene la storia sembri scivolare indietro, non tutti hanno deciso di rimanere in silenzio.
C’è, però, un pericolo ancora più grande della retromarcia: l’indifferenza.
Perché se è vero che i nazionalismi si riaffacciano e che le guerre continuano a esplodere, è altrettanto vero che milioni di persone, in Europa come altrove, hanno smesso di reagire.
Ci siamo abituati alle immagini di morte, ai bambini senza futuro, ai civili bombardati. Abbiamo trasformato il dolore in sottofondo.
La Flotilla, invece, rompe questo sottofondo. Costringe a guardare, a parlare, a discutere. Non importa se la si approva o la si critica: il solo fatto che esista è già una vittoria contro l’indifferenza.
Se l’Europa come Stato non è mai nata, allora è un fallimento istituzionale.
Ma se l’Europa degli ideali non è mai morta, allora è una possibilità sempre aperta.
E la Global Sumud Flotilla è la prova che questa possibilità non si è esaurita.
In un tempo in cui i governi parlano di confini, la Flotilla parla di ponti.
In un tempo in cui i poteri parlano di sicurezza, la Flotilla parla di dignità.
In un tempo in cui i leader parlano di forza, la Flotilla parla di giustizia.
Forse, allora, il senso più profondo del gesto sta qui: ricordarci che la vera Europa non vive nei palazzi di Bruxelles, ma nei cuori di chi ancora crede che un altro mondo sia possibile.
E che nonostante la retromarcia del presente, nonostante il ritorno dei fantasmi del passato, nonostante il buio che avanza, la luce degli ideali continua a resistere.
Fabrizio Colombo