
Angelo Floramo è la moltitudine.
La moltitudine delle violenze del 900,la moltitudine dei persecutori e dei perseguitati, la moltitudine delle ingiustizie della grande tragedia umana comincia da Gorizia città maledetta nella prima guerra mondiale e continua attraverso un treno di dolori fino ai campi di sterminio nazisti e comunisti, fino a Leopoli 2025.
Dal Friuli all’Ucraina, il canto dolorosi di un im pareggiabile Angelo Floramo, con una prosa potente e mai retorica, con un accompagnamento intenso (Federico Galvani, Alan Liberale Luca Zuliani, loro tutti Fior delle Bolge)
Questo ha proposto Festil con la lucida Direzione artistica di Tommaso Tuzzoli, produzione Tinaos, per una rivisitazione e una narrazione incalzante e ritmata, smarrita e disperata di fronte a quell’io che non sa cambiare.
Dunque, come cambierà il mondo, come lo renderà nuovo e accogliente per tutti, per slavi e tedeschi, per arabi ed ebrei?
L’interrogativo del l’intellettuale narratore e poeta Angelo Floramo è dunque nostro.
E noi nella nostra impotenza di spettatori di fronte al palcoscenico del San Giorgio, come di fronte alla storia, siamo lì ad annuire e a chiederci come alcune cose siano accadute ed altre stiano a ancora accadendo.
I poteri occulti che gestiscono il mondo hanno creato la bolgia dantesca con la sua babele di espressioni linguistiche e politiche che spesso, anzi quasi sempre, declinano in violenza e sopraffazione.
Lo spettacolo profondamente umano ci consola… solo un po’, ma ci consola.
Il mondo della cultura non accetta e lancia la sua accusa.
É un grido lacerante, siamo certi… sarà udito, anche se non sappiamo quando.
Vito Sutto


