Ho aspettato, prima di scrivere. Meglio, per tutti.
Oggi poi leggo di modulo da cambiare, di mancanza di regista.
Palle.
Ieri l’Udinese ha perso contro quella che un amico serio e preparato ha giustamente definito una potenziale concorrente udinese nella risalita in serie A, al netto della festa-Bellini di Bergamo, perché a differenza dei liguri non ci ha messo né testa, né cuore, ne tantomeno tranquillità: al goal di DePaul la ara doveva essere finita.
Se ieri si fosse giocato con un 4-3-3, un 4-4-2 o col celebre 5-5-5, ma con il medesimo atteggiamento, si sarebbe perso. Uguale.
Dopo esattamente 21:09 di buon calcio, sterile ma non spiacevole, nel quale DePaul cercava se non altro di aprire il gioco (cosa che non si vedeva da secoli), alla prima folata dei granata (oggi) di Di Carlo i bianchineri si spaventavano, si scoraggiavano, si perdevano; prima della bella rete del “diéz” friulano era stata di Karnezis la parata più difficile, ed anche l’azione prodròmica del rocambolesco pareggio di “qualcuno” (Nené? Valentini?), in un groviglio letto per nulla dalla difesa udinese, era stato il greco a togliere dall’angolino basso un colpo di testa di Okereke.
Da lì in poi, cala la notte. Raddoppio di Okereke a campo aperto, rigore con cui Zapàta cannona il ventre del povero ed inconsapevole Chichizola (parate decisive, zero); subitaneo 1-3 di Nené con una difesa che non si alza all’unisono dopo un corner, lasciando un avversario indisturbato (sul filo del fuorigioco, invero) a sancire che questa Coppa Italia, della quale (chi mi legge da qualche tempo lo sa) mi frega zero, deve promuovere i meritevoli spezzini. Il 2-3 di Zapàta, onestamente figlio solo di una caparbia e capace azione di Rodrigo DePaul, è tardivo, illusorio e, diciamocelo, sarebbe stata punizione immeritata per i cinquanta descamisados liguri giunti al seguito dei loro beniamini.
La sensazione, netta, è che alcuni dei pedatòri scelti da Iachini come “start 11” non abbiano un sacro furore dentro che li spinga a rimanere a Udine: vengano accompagnati all’uscita. I nomi fateli Voi, amici miei, ma la salva di fischi riservata al povero Armero, quasi fosse sua la colpa della sconfitta, mi sono sembrati faciloni. Detto di una gara, quella del “sette”, a tratti inguardabile.
Così come incomprensibile pare la voglia iachiniana, comprensibile ma bocciata, di affidarsi ad alcuni elementi che, ad oggi, non sembrano funzionali alla causa, se non altro alla mia personale: giocare al calcio cercando di segnare.
Ripeto che dei moduli me ne sbatto: vedo lunghe discussioni virtuali in cui si evincerebbe la funzionalità di un sistema di gioco anziché di un altro; tutto bellissimo, non fosse altro che le reti subìte ieri sono derivate da esiziali errori tecnici, personali e di reparto, d’attenzione e, purtroppo, di voglia.
Mi spieghino però, quelli che ne sanno di più, il terrore totale di inserire dal primo minuto Jankto e Peñaranda, dato che un’eliminazione sarebbe stata del tutto innocua. La teoria secondo cui i talenti lanciati in campo troppo presto “si bruciano” vale solo nella mammonissima PodosfItalia, e non nel resto dell’Europa e del mondo, né negli altri sport. Leggo che il campione olimpico Paltrinieri ha 21 anni e vince da tre: avrebbero dovuto tenerlo in flanella con gli juniores fino a che età, prima di lanciarlo? Se uno ha i numeri, come Maestre ieri sera, entra e spariglia il banco con le sue accelerazioni, i dribbling ignoranti, i doppi passi da campetto.
Ieri lo Spezia ha vinto applicando il più storico catenaccio, con otto giocatori stretti stretti nell’estasi difensiva, e tre omini veloci al contrattacco. Messo dentro Piccolo alla ricerca del palleggio, hanno preso il 2-3 e rischiato di rovinare tutto. Avessero continuato a spedire palle in tribuna Zapàta avrebbe marcato, una volta ancora, virgola. Ma (giustamente) Di Carlo parlerà di modulo, di gioco, eccetera. È davvero questo che ci appassiona?
Un podosfanarchico canto, nient’altro: anelante una partita giocata come Dio comanda. Ormai, è asseverato, al Dacia Bunker vincono tutti tranne l’Udinese. Tutti: dalla Spal al Carpi, dallo Spezia al Torino; evidentemente chi ha costruito il gioiello ha frainteso l’aspetto mentale della squadra, ovvero non sta allestendo rose in grado di sentire giovamento dall’urlo ferino della curva. Io sono ancora convinto che i giovani a disposizione di Iachini siano tecnicamente superiori alla rosa ciabattante dell’anno passato. Ma se nell’undici iniziale nove pedatòri sono gli stessi messi giù dall’Anziate, segnatamente il trio difensivo dove uno parrebbe quasi forzato a rimanere, non ci si può attendere un atteggiamento mentale differente né difforme. A meno di non essere la Juventus, di prendere Conte o Allegri e possedere una rosa che, via Delneri, si è rivelata in tutta la sua potenza assoluta.
Cambia nulla: il lavoro, Iachini lo sa, è l’unico rimedio ad una situazione ancora cantieristica. Sabato è campionato, e per fortuna giocheranno una gara quasi impossibile a Roma, la quale anche se persa (bene) non darebbe alcun significato negativo alla stagione. Piuttosto invito la società, i tecnici e i giocatori a non rovinare il feeling che si sta costruendo con i sostenitori aggiungendo alle ultime stagioni ulteriori prestazioni devastanti. La pazienza friulana è proverbiale, diecimila abbonamenti un risultato secondo me straordinario data la situazione economica e contingente: giocare come se, per volontà o incapacità, non gliene fregasse nulla, merita dalla curva i cori che ieri sono arrivati in mezzo al solito tifo eccezionale. La palla è tra i loro piedi: ne facciano, finalmente, buon uso.