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PUNTATA NUMERO CINQUANTADUE. IL GUADO DI RUALIS. PARTE SECONDA.

Rachele Pellegrinuzzi 30 Giugno 2015
BIEL LANT COME IN UN FILM!

BIEL LANT COME IN UN FILM!

Dove ci siamo lasciati la volta scorsa? Ah, sì, eccoci lì, beati e impalati davanti all’ingresso della chiesa di San Giorgio. Ci guardiamo attorno.

Lasciando che le immagini vengano a noi, spaziamo con lo sguardo girandoci un po’ su noi stessi, ma con fare lento, a mo’ di trottola inrusinìda.

Alle spalle la chiesa. Alla ciampa il cortile della fattoria con parte degli antichi edifici, cioè la stalla e le stanze ad uso abitativo. Più in su, sempre a ciampa, troiùts che portano ai giardini, secondo un percorso ben definito.

Di fronte, strops lunghi e paralleli: l’orto. In fondo si vedono alberi da frutto e prati.

Sulla destra prato con infiorescenze alte, simili a fiorellini simili a camomilla; chiederemo lumi al paròn di cjasa. Ancor sulla destra un campo e una rotoballa gialla e imperiosa. In secondo piano alcuni pali grossi e alti piantati in cerchio per un diametro di alcuni metri: che strano, sembra una sorta di Stonehenge agricola! (Scherzi o non scherzi, non siamo mica tanto lontani dalla verità!). Guardando meglio, nel centro di questo immaginario cerchio è posta una pietra piatta. Qui qualcosa richiama chiaramente il cielo, gli astri, l’oltreterreno, il tentativo di entrare in contatto con una dimensione che non è quella su cui posiamo i nostri alluci e le nostre ginocchia.

Ecco, abbiamo appena eseguito il “ballo della mattonella” del “Turista a Centimetri Zero”: rotea gli occhi, fa’ una giravolta e dimmi cosa vedi. Poca fatica, tanto appagamento, vero? Par fuarça: chèst al è un biel lâ!

Ora, però, al sarès il câs di mòvisi, di entrare letteralmente nei luoghi e di viverli con la nostra persona e con la mediazione dei nostri sensi; cerchiamo di temperare e affilare questi ultimi per poterli rendere strumento di scrittura delle esperienze vissute nella maniera più incisiva – e benefica – possibile.

Cominciamo dal giardino. E’ un luogo piuttosto appartato e chiuso, per come è strutturato. Il suo nome erudito è, infatti, hortus conclusus. Di forma quadrata, presenta al centro una vasca dotata di una delicata calla, fiore legato alla purezza e al candore ma anche fiore che, per le sue fattezze e forme, si offre e si palesa alla Vita senza troppi petali d’intralcio e nelle sue linee essenziali e pulite. Ricordiamo, a tal proposito, quanto già aveva magistralmente fatto apprezzare la nostra Tina Modotti nell’immagine di una calla da lei fotografata tanti, tanti anni fa: opera davvero insuperata per bellezza e fascino allusivo.

Il giardino segreto è protetto e si mostra solo a chi sa trovarne l’accesso; i quattro suoi cantoni sono simbolici pilastri su cui poggia tutto l’universo; l’acqua cui attingere per dissetarsi è raggiungibile solo dopo aver compiuto un preciso percorso. Metafore a iosa in soli quattro passi!

Le scoperte non si esauriscono, però, in questo incanto magico di foggia regolare e plen di bonodôr: se si va nell’orto sinergico, se ne trovano molte altre. Più che scoperte, si tratta di riscoperte dell’equilibrio che sta a fondamento della Natura: un “do ut des” di cui tutti gli attori e affiliati beneficiano, noi compresi. Le piante aromatiche e officinali e gli ortaggi, così come i pomârs (lingua friulana figlia drèta della latina, che di “pomarium” parlava, con quel suono così dolce e inequivocabile), alimentano la terra che, a sua volta, alimenta chi vi affonda le radici. Una bella copertura con strànc tiene al riparo da eccessivi sudori e perdite di liquidi nei tempi estivi, nonché da gelo e freddo in quelli invernali.

Lapalissiano, anzi, naturale, no?

Nella Semplicità sta la risposta…

Nell’Amore sta la risposta…

Con queste considerazioni tra il romantico e la fraternità universale ci accorgiamo, tanto per rimanere in tema, che la chiesa è ancora lì, paziente, ad attendere la nostra visita; visto che la pioggia incombe, raccogliamo l’invito ed entriamo sine dubio.

Dimensioni notevoli per essere chiesa di convento; gli affreschi, quelli salvati, sono di pregio e fanno capo alla scuola di Vitale da Bologna, così dicondo gli esperti.

Una bella Madonna dell’Umiltà ci guarda, pietosa e colorata, con tanto di Bambino con uccellino sul dito, mentre un’altra Madonna lignea in trono con Gesù in braccio si lascia ammirare da tutte le angolazioni e ci sopporta con infinita – e santa – pazienza.

Da una stanzina sulla sinistra fa capolino un tipo non molto alto e bardato di tutto punto, proprio come se dovesse andare all’assalto di qualche castello medievale. E’ un manichino, un pupazzo imbottito e ferroso che ci riporta a quanto raccontava il proprietario del complesso: in San Giorgio tante riprese cinematografiche per film e documentari son state fatte e grandi nomi di registi italiani, apprezzati anche sullo scenario internazionale, sono passati di qui.

Ne troviamo conferma quando lasciamo la chiesa e, richiamati dal capannello dei visitatori accorsi per il tramite dei referenti di Legambiente, ci incuriosiamo e ci addentriamo nelle antiche stalle e attigui locali di servizio. Scenari da piena Ete di mieç! Innanzitutto concolât par tiara, come si usava fino a pochi decenni fa, quando ancora i nostri nonni avevano lis bestiis e facevano i contadini. Ritroviamo, poi, ricostruiti, alcuni ambienti di ispirazione chiaramente medievale: la cucina e la sala del banchetto, in particolare. Suppellettili e arredi simili agli originali concorrono a farci sentire davvero in un set cinematografico, al punto da immaginarci subito a degustare qualche buon vinello locale versato in coppe di metallo tempestate di pietre preziose, come s’usava all’epoca! In realtà, per chi vuole, il rinfresco vero c’è ma delle le gemme toccherà far a meno!!!

Una sonora ubriacatura di storia e di bellezza ce la siamo proprio presa; urge andar fuori a respirare un po’ di aria fresca (e umida, giacchè è piovuto nel frattempo). Guardiamo quei famosi pali di legno a cerchio, con tanto di pietra al centro. Nei tempi più remoti San Giorgio era, tra l’altro, anche un luogo che ben si prestava all’osservazione del cielo e degli astri, come una sorta di osservatorio astronomico ante litteram, interpellato per tutte le bisogna. Oggigiorno, quella suggestiva disposizione si presta benissimo ad esercizi di scioglimento, respirazione e meditazione, magari seguendo la disposizione in tondo in modo da guardarsi tutti in faccia e da condividere appieno il momento. Tra le proposte dei convenuti membri dell’associazione “Il Benessere Universale”, c’è, infatti, anche quanto tosto accennato. All’unisono ci diciamo che gli operatori non avrebbero potuto trovare luogo più adatto e suggestivo.

Tante sono, dunque, le sfaccettature che offre questo luogo/microcosmo catapultato nel presente. E’ valsa davvero la pena di affrontarlo, il Guado di San Giorgio: nessuna corrente ci ha trascinato via, tanti benèfici influssi ci ha regalato – pur nella brevità di una mattinata – insaporendo il tutto con abbondanti pizzichi di nuovo sapere e nuove consapevolezze.

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